-L'Inter è il sogno della tua vita che si realizza: come ti sei sentito quando hai varcato San Siro da titolare dell'Inter?
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Zenga: “Uomo Ragno nasce così. Mai Inter? C’è un motivo. Italia ’90? Nessuno ricorda che…”
Alla Macallesi io il vialetto me lo ricordo come se fosse ieri. Mio padre aveva una Citroen Squalo verde. Mi è venuto a prendere perché mi avevano chiamato perché ci aveva comprato l'Inter. Io dicevo 'cavolo vado all'Inter'. Uno può diventare interista perché fa venti anni di carriera nell'Inter e perché tifa Inter. Ma non potete capire cosa vuol dire essere interista, che vuol dire per un ragazzo nato interista, che è di Milano, che giocava in una squadra di quartiere, come Dimarco del resto, fare la trafila, arrivare lì mettere piede a San Siro. E c'era la Curva dove tu andavi e pensi, adesso muoio per loro. Altro che soggezione. Finita la prima partita dico: "Già finita, giochiamo subito di nuovo". Infatti quando mi chiedono la gara che vorrei rigiocare è la prima con l'Inter perché ne giocherei altre 473. Ti resta dentro, è una passione che ti porti dietro tutta la vita. Cambi moglie e città ma la squadra non la cambi.

-Perché l'Uomo Ragno?
Il mio soprannome era il deltaplano, me lo diede Brera. Ma quando vengo escluso nel 1994 in Nazionale nello stesso momento esce il disco di Max Pezzali, Hanno ucciso l'Uomo Ragno. Io avevo questa tuta nera che si allacciava intrecciata di rosso e blu e sembrava davvero la tuta dell'uomo ragno. E quando mi chiesero un commento sull'esclusione della Nazionale io risposi: "Hanno ucciso l'Uomo Ragno chi sia stato non si sa forse Sacchi Materazzi, Carminiani chi lo sa" e me ne vado. L'Uomo Ragno nasce così.
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