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Le sue scelte sono sempre nette, quasi definitive: c’è una formazione titolare e c’è un gruppo di calciatori che, salvo emergenze, non gioca mai le partite che contano di più, quelle di campionato (in Champions puoi anche prenderti qualche rischio, se sbagli due gare ti qualifichi lo stesso mentre in A perdi terreno e addio). Così accade che Frattesi, dopo un avvio di stagione straordinario anche in Nazionale, non trovi spazio: in 19 partite di campionato è stato titolare quattro volte, l’ultima il 30 ottobre a Empoli quando ha segnato una doppietta. Lo stesso vale per Zielinski: quattro incontri dall’inizio, ma due di questi negli ultimi cinque giorni, con Venezia e Bologna, quando Mkhitaryan era infortunato.
È evidente che Inzaghi non si fida delle sue riserve e, se può, non tocca niente della formazione titolare, tanto che non ha mai fatto giocare nemmeno Martinez: il portiere pagato 13 milioni più bonus si è dovuto accontentare di partecipare a una gara di Coppa Italia tra le 28 stagionali dell’Inter. In questo modo si rischia poco nell’immediato, perché i giocatori conoscono compagni e schemi alla perfezione, ma si può creare un meccanismo che alla lunga non è virtuoso. Perché poi, quando hai bisogno dei Frattesi o degli Zielinski, li puoi trovare fuori forma dal punto di vista atletico oppure inquieti nel morale. Non solo: spremendo sempre gli stessi uomini, a un certo punto il fisico può presentare il conto. Com’è capitato più volte nella stagione a Calhanoglu. E com’è successo al trentaseienne Mkhitaryan dopo avere giocato da titolare 17 partite su 17 di campionato e due su due di Supercoppa.
Inzaghi è questo, nel bene e, se volete, anche nel male. E queste sono le sue idee, le sue modalità di gestione del gruppo. Da sempre, non da oggi. Lo sa bene chi lo ha seguito e apprezzato alla Lazio: anche a Roma non toccava praticamente mai la formazione preferita, scelta maldigerita da chi prendeva i calciatori e li vedeva quasi sempre in panchina. E lì non aveva tutte le risorse tecniche di cui dispone all’Inter.
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