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Sylvinho: “Io all’Inter, ecco come. Mancini una fortuna per Icardi. Di Messi dico…”

Ospite della nuova puntata di Inter Nos, in questa settimana pre-Pasqua, è il vice allenatore nerazzurro Sylvinho. L’ex giocatore di Arsenal, Celta Vigo, Barcellona e Manchester City ha raccontato ad Inter Channel alcuni aneddoti sulla sua...

Dario Di Noi

Ospite della nuova puntata di Inter Nos, in questa settimana pre-Pasqua, è il vice allenatore nerazzurro Sylvinho. L’ex giocatore di Arsenal, Celta Vigo, Barcellona e Manchester City ha raccontato ad Inter Channel alcuni aneddoti sulla sua carriera e sulla sua vita da secondo di Roberto Mancini.

Sylvinho ha risposto alle domande dei tifosi, raccontando in primis la serenità del suo lavoro in Italia: “Mi trovo molto bene qui, davvero, ed è migliorata anche la lingua italiana. Faccio ancora  molta confusione con lo spagnolo e il portoghese, ma sto molto bene. Era un antico sogno quello di giocare in Italia, ma non ce l’ho mai fatta. Sono andato in Inghilterra e in Spagna, almeno adesso sono arrivato in Italia per allenare. Mi sono limitato a vincere due Champions League con il Barcellona? Eh si, non posso protestare in niente, sono state in grandi squadre nella mia vita (ride)”.

Differenza degli allenamenti in Italia e in Brasile?

“C’è tanta differenza. Quando giocavo io al Corinthians, nel 1995, la differenza era più ampia. Adesso ce n’è meno, perché la parte fisica si assomiglia. C’è ancora molta differenza, invece, sulla parte tattica, che in Italia è molto sviluppata. I ragazzini arrivano alla prima squadra già molto formati da questo punto di vista. Il calcio brasiliano si sta un po’ “Europizzando”, ma manca ancora tanto. Spesso in Brasile c’è un dubbio, non sai mai se lasciare un giocatore libero di agire con la sua tecnica e il suo estro o se “Europizzarlo” un po’, magari togliendogli un po’ di fantasia”.

Nazionale verdeoro senza un attaccante puro?

“Si, in questo momento manca al Brasile un vero 9. Anche nell’ultima coppa del mondo è mancato. Rispetto molto un giocatore come Fred, ma non può essere al livello di Ronaldo o Adriano. Non abbiamo questo tipo di giocatore, abbiamo Neymar fortissimo ma non è un 9”

Differenze tra i vari campionati in cui ho giocato?

“Come giocatore è difficile da valutare, si vede il calcio un po’ diverso a seconda dell’allenatore che hai. Da allenatore, invece, devi rispondere per 25 giocatori, non è un lavoro facile. È molto più facile giocare a calcio che allenare. Più difficile fare il primo o il secondo? E’ più facile fare il vice, sicuramente, per le responsabilità che hai. Io ho sempre fatto il vice finora, in Brasile e ora con Roberto. L’ultima scelta è la loro, loro hanno la responsabilità, e per questo non è facile. Ho avuto sempre allenatori molto bravi tecnicamente nella mia carriera, allenatori che hanno sempre fatto giocare bene le loro squadre. Se farò l’allenatore un giorno, non posso non farlo anch’io, altrimenti non avrebbe senso (ride)”.

Primo gol in Europa con l’Arsenal contro lo Sparta Praga?

“Non sapevo fosse il primo. Bel gol, ho fatto tanti assist ma meno gol. Ero molto giovane, capello nero, bellissimo. Ho raccolto una sponda di Pires, mi sono spostato sul lato e alla fine ho trovato la porta, bel gol. Ho iniziato a giocare come centrocampista, avevo buona qualità tecnica. Poi mi hanno abilitato come terzino, dove non è facile perché bisogna spingere tanto. Un bel gol l’ho segnato a Stamford Brigde contro Il Chelsea, poi un altro nel Celta Vigo contro il Barça”

Arsenal?

“Una squadra che mi ha fatto benissimo, mi ha fatto crescere a livello professionale. In Inghilterra devi spingere tanto. Fai un lavoro di altissimo livello, che ti prepara a giocare in qualsiasi parte del mondo”.

Wenger?

“Sono stato molto fortunato con gli allenatori che ho avuto in carriera. Wenger sa gestire molto bene lo spogliatoio e la società. Ho avuto tanti allenatori così. Guardiola al suo primo anno ha vinto il Triplete con noi: aveva 38-39 anni, io ne avevo 35 e giocavo ancora. C’era poca differenza d’età, ma si vedeva che era un allenator capace di vivere 24 ore il calcio, parlava solo di calcio. Era bravissimo a gestire la pratica sul campo, un dettaglio importantissimo per essere un grande allenatore”.

Finale di Roma?

“Incredibile, prima che arrivasse Guardiola il Barcellona aveva passato un anno difficilissimo. Avevo pensato di andare via, in quell’anno partirono Deco e Ronaldinho. Poi Begiristain, prima delle vacanze, mi disse che avevano un contratto nuovo per me. E andò benissimo, vincemmo il Triplete con un grande allenatore come Guardiola alla guida”.

Momento più bello e più triste vissuto al Barcellona?

“La parte migliore è stata Roma, la finale di Champions League. Una bellissima partita, vincere la Champions a 35 anni con giocatori come Messi, Iniesta e Xavi è fantastico, contro uno United di grandi giocatori. Il peggio è stato il momento dell’infortunio al ginocchio, per cui sono stato fuori almeno 1-2 mesi”

Trattativa con Mancini per venire all’Inter?

“Una storia un po’ lunga, provo a farla breve in 15 secondi. Io ho smesso al City di giocare a calcio. A quel tempo, lui mi disse: “Sylvio, cosa fai la prossima stagione?”. “Non lo so mister, sono 12 anni che sono in Europa, pensavo di tornare in Brasile”. “Ma perché non stai qua? Perché non rimani a fare l’allenatore?”, mi rispose lui,  ma non era il momento. Roberto ha una grande visione, lui prima di tutti ha visto che ero uno di campo. Però in quel momento volevo ancora giocare a calcio. Poi al Corinthians ho iniziato a fare il vice allenatore. Così Mancini mi ha chiamato prima di venire all’Inter e mi ha chiesto di assisterlo. Mi ha messo un dubbio, gli ho detto che avrei finito la Liga brasiliana e sarei arrivato. 15-20 giorni dopo, ho preso un aereo e sono venuto a Milano”

Come ho trovato Mancini all’Inter?

“L’ho trovato cambiato, la gente cambia, e lui ha avuto un’esperienza bellissima in Inghilterra. Questo ti cambia, cambia l’atteggiamento e i pensieri di una persona. Ora mi sembra più tranquillo, ha vinto la Premier e per un allenatore è impressionante. Ha vinto pure una FA Cup. Lo vedo più tranquillo, diverso anche tatticamente e nell’atteggiamento in campo, in qualcosa è diverso. Quando si arrabbia? Quello non si può dire (ride)”

Sorriso contagioso?

“Non si sa se è brasiliano, inglese, spagnolo oppure italiano (ride)”

Come mi trovo all’Inter?

“Molto bene, veramente bene. Mi identifico molto con la società, ho un gran rapporto con Javier Zanetti, un argentino che qui ha fatto la storia. Un giocatore che ha fatto cose che difficilmente faranno altri con l’Inter. La cosa si fa facile in una società molto buona e molto grande. E magari presto l’Inter potrà tornare a giocare la Champions o vincere il campionato. Il posto dell’Inter è questo”.

Quale giocatore mi ha sorpreso più di tutti quest’anno?

“Icardi è un giocatore che segna tanto, ha un gran compromesso con la società, Sta imparando tante cose, la figura di Mancini - anche per quello che è stato da giocatore - è molto importante per Mauro e per la sua carriera. Rodrigo (Palacio) già lo conoscevo, è un fenomeno, è un professore. E’ molto umile. Certo, il tempo passa, io lo so perché ho giocato fino a 36 anni. Rodrigo a 26 anni era un grandissimo Rodrigo. Ma è un giocatore che lavora benissimo, è un professore. Va nello spazio, fa le sponde, davvero, è un professore. Con uno così migliorano anche gli altri, ha una tecnica brillante. Brozovic poi è molto forte, è giovane e può migliorare tanto. Ricordo quando avevo io 22 anni, quanti errori facevo in campo. Un allenatore non deve dimenticarlo, a 32-33 anni è normale che ne farai molti meno. Se lavori in uno staff lo devi sapere, quando lavori con giocatori come Brozovic, così giovani. Alla sua età può starci un errore. Ma tecnicamente è molto forte”

Chi vorrei vedere allenarsi all’Inter?

“Certamente un amico mio, che magari un giorno possa giocare all’Inter: Messi. Oppure Iniesta, un fenomeno. Ha 30 anni, prima o poi, non si sa mai (ride)”

Un aneddoto su Messi?

“Quello è un genio, è eccezionale. Non è normale. È così e basta. E’ istinto, è un talento fuori di testa. Si allena, non ha infortuni. Poi ha cambiato qualcosa nel corso degli anni, ha migliorato l’alimentazione, perché gli anni arrivano. Ma è un fuoriclasse, uno dei migliori del mondo. I suoi numeri sono da pazzi. Sono significativi, impressionanti. Poca gente sa che nel 2006 nella finale di Champions a Parigi lui era infortunato e sedeva in panchina. Io in campo festeggiavo il titolo, lo cercavo ma non lo trovavo. Era nello spogliatoi, ha fatto una piccola festa veloce e se ne è andato via. Aveva meno di 18 anni, ma lui voleva essere in panchina per poi giocare, non guardare. Un atteggiamento impressionante, di un vincente. Era arrabbiato per l’infortunio, voleva esserci”.

Terzo posto?

“Io penso che abbiamo il tempo e la squadra per farlo. Oltre ad un buon calendario. Ci mancano dei punti, siamo indietro ma il momento molto importante arriva adesso. Le prime 10 giornate sono importanti, ma le ultime 10 sono importantissime. Abbiamo le nostre chance, bisogna vincere le partite poi vediamo. Abbiamo perso un’occasione a Roma, ci siamo andati vicino ma non abbiamo vinto. Adesso bisogna vincere. La squadra cambia, è un corpo vivo. In un mese è cambiata. Può succedere per vari fattori. Penso che la squadra sia migliorata tanto adesso”.

Perisic?

“E’ un grandissimo giocatore, con un grande atteggiamento. Quello che ha fatto con noi dipende anche dallo schema tattico, ha fatto tanti ruoli ma lui è un esterno sinistro. Purtroppo il mister non lo ha messo lì fin dal principio, perchè mancava qualcosa alla squadra. Ma quando lui ha giocato di là per 2-3 partite di fila, si è vista la grande differenza”

Più facile per un ex difensore curare la fase difensiva da allenatore?

“In principio si. Come ho detto che Roberto può insegnare tanto ad Icardi proprio perché è stato un attaccante, per me è più facile correggere un difensore. So dove uno deve andare. Certo che Roberto è un  mister completo, ma a volte parliamo, abbiamo dei dubbi e ci consultiamo. Lui mi dice dove lavorare, si fisa di me e sa dove posso fare bene ai giocatori. Dopo 500 partite da professionista è impossibile che uno non sappia dove migliorare e dove aiutare un calciatore, con l’esperienza che ha. Da me passano i dati che mi rilascia la società sugli avversari, poi vado dal mister. Lui si preoccupa più della nostra squadra, io e lo staff studiamo gli avversari”

Torino?

“E’ abituato a giocare in un 3-5-2, ha reparti veloci e giocatori che segnano. Dopo un anno e mezzo so che qui le partite sono sempre difficile, perché tutte le squadre hanno uno schema tattico, tornano tutti indietro, e le partite si fanno molto difficili. Dobbiamo vincere, non abbiamo altro obiettivo che quello. Dobbiamo fare il nostro, dobbiamo vincere perché pensiamo ancora al terzo posto”.

Se pensavo già di fare l’allenatore prima di smettere?

“Devo dire la verità, io negli ultimi 2-3 anni da calciatore non pensavo di farlo. Ma impari a sentire di più il mister quando cresci. Con Guardiola e Roberto, imparavo già tanto da loro, ma ancora dovevano passare altri anni. Pensavo: “Ora gioco a calcio, poi vediamo”. E ora che ho cominciato devo mettere in pratica tutto quello che ho imparato da loro,  ed è davvero una cosa che mi piace tanto”

(Inter Channel)

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