editoriale

C’era una volta “il campionato più bello del mondo”

E’ vero il mercato non è ancora finito, ma è già possibile stilare il resoconto di quanto hanno speso ad oggi le società del nostro massimo campionato. Numeri alla mano i 20 club di serie A hanno impiegato complessivamente sul mercato 397...

Alessandro De Felice

E’ vero il mercato non è ancora finito, ma è già possibile stilare il resoconto di quanto hanno speso ad oggi le società del nostro massimo campionato. Numeri alla mano i 20 club di serie A hanno impiegato complessivamente sul mercato 397 milioni di euro, ma, si noti, ben 104 milioni sono investimenti relativi a calciatori già comprati nella stagione scorsa con la formula del diritto di riscatto obbligatorio (insomma presi subito e pagati dopo). Dunque, a conti fatti, sono stati spesi sul mercato “solo” 293 milioni. L’austerity è evidente visto che le entrate delle squadre di A ammontano a 356 milioni. Insomma la crisi c’è e si vede nei numeri.In generale comunque i 20 club di Serie A spendono consistentemente meno delle altre squadre d’Europa che giocano nei campionati che contano. Ne sono un esempio l’Inghilterra, in cui ad oggi sono stati spesi 397 milioni, la Spagna con  321. Non sorprende dunque che tra le cinque squadre europee che hanno investito di più quest’anno non ci siano italiane, mentre invece ne figurano ben due tra quelle che hanno venduto di più (Palermo al 1° posto con 69 mln, Udinese terza con 66).Oggi va via Eto’o ed arriva Zahavi, parte Sanchez e arriva Lamela, fuori Pastore dentro Alvarez. La chimera del Fair-play finanziario è probabilmente un’ottima scusa per risparmiare. Forse arriveranno sulle sponde milanesi i c.d. “botti” finali, ma temiamo che non saranno colpi “stellari” ma semplicemente normali.Il nostro una volta era definito, forse per amor di patria, “il campionato più bello del mondo”, oggi l’iperbole viene frustrata dalla cruda realtà: spagnoli ed inglesi ci hanno superato da tempo, anche in Germania e Francia non scherzano più. Per non parlare dei russi capaci di contendere agli sceicchi il ruolo di migliori contribuenti del calcio collocando per puro diletto i loro pupilli in magnifiche regge dorate, e non importa se queste siano contornate dal filo spinato della guerra di trincea. Viene da pensare che il mercato degli oligarchi russi ed emiri crei un calcio economicamente drogato, capace di decentrare le forze calcistiche in luoghi sconosciuti ed impronunciabili, perfino impensabili fino a qualche tempo fa.Probabilmente in Daghestan e simili i veri risultati calcistici non arriveranno mai, ma questa riflessione di certo non ci consola perché denuncia, piuttosto, l’inesorabile svilimento del gioco che ci piace di più.