editoriale

Incensurati

Di che cosa stiamo parlando? C’è un processo all’Inter, un processo che non ha nulla da spartire con le aule giudiziarie, quelle che tutti noi reputiamo serie e giudiziose. Un processo aperto dal sentimento di rivalsa bianconero e...

Sabine Bertagna

Di che cosa stiamo parlando? C'è un processo all'Inter, un processo che non ha nulla da spartire con le aule giudiziarie, quelle che tutti noi reputiamo serie e giudiziose. Un processo aperto dal sentimento di rivalsa bianconero e suffragato da quello barbaro-mediatico. Quello stesso sentimento che pur galleggiando nel torto più fetido e nauseabondo ha portato alla assurda stesura di un esposto. In un paese civile chi è colpevole non dovrebbe avere questo spazio, nè questa credibilità. E accettare un loro esposto è stato come dirgli: avete ragione voi, forse c'eravamo sbagliati. Sarebbe stato sufficiente rispondergli subito che un'eventuale restituzione di quei titoli era decisamente improbabile. Surreale.

E poi, scusate. C'eravamo sbagliati in quale universo parallelo? Non è emerso un solo, ribadisco UN SOLO, elemento che scagionasse la società bianconera dalle sue colpe. La difesa di Moggi ha perso il sonno per sbobinare e riascoltare tonnellate di intercettazioni (e chissà quanti altri particolari interessanti saranno emersi) e che cosa ne è uscito? Un centrifugato di nulla. Ah, già. Che anche all'Inter si telefonava. Certo, pratica discutibile, che ai tempi non era vietata da nessuno. Anche io avrei telefonato e cercato di capire fino a quale punto erano disposti a spingersi certi personaggi per fottermi alla grande. Avrei cercato di capire perché chiedere un arbitraggio equo (equo=che non sfavorisce nessuno, ma favorisce chi se lo merita) fosse un peccato. L'avrei fatto anche per un altro motivo. Un piccolo e inutile monito. Lo so che mi state prendendo in giro. E prima o poi tutto questo verrà fuori.

A questo pantagruelico banchetto di ingiurie contro Giacinto Facchetti, che era e sarà sempre l'Inter, hanno partecipato un po' tutti. I tifosi avversari per primi, ovviamente, e fin qui nulla di inaspettato (patologia italiana, facciamocene una ragione). Ma dopo i tifosi sono arrivati i sparasenteze, i giornalisti, i presidenti di altre squadre. Improvvisamente avevano tutti qualcosa di assolutamente pertinente da dichiarare. Quelle parole che fino a ieri erano chiare, goffe e senza malizia, improvvisamente erano diventate compromettenti, sporche. Illecite.

Accettare un qualsiasi marchio anche solo lontanamente offensivo è contro la nostra natura. Abbiamo lottato e non abbiamo mollato quando venivamo puniti puntualmente ogni domenica, figuratevi se ci deprimiamo di fronte a questi nuovi attacchi. E' quello che pronostica la Rosea oggi, una sorta di censura. Un rimprovero sull'etica. Adesso che sembra palese a tutti che il Consiglio Federale non dovrebbe essere atto a revocare un bel niente si alzano le voci. Della Valle attacca Auricchio. E propone di sedersi tutti ad un tavolo e aprire una nuova discussione. Chissà quali nuove e brillanti proposte potrebbe fornire il giovin signore in quell'occasione. Per mezzo di un esposto sull'integrità morale, per esempio. Il Direttore della Rosea spinge perché si faccia chiarezza e avalla la proposta del presidente dei viola. Che anche Della Valle sia un azionista di Rcs è una semplice constatazione, nulla di più.

E adesso che cosa succederà? Mi piacerebbe dirvi qualcosa di sconvolgente. Qualcosa che toglierà le pieghe e risistemerà tutto. Qualcosa di improvvisamente giusto. Di giusto c'è stata la retrocessione in B comminata alla Juventus esattamente 5 anni fa. Dopo quell'evento, pensando ai giorni nostri e alle conclusioni tirate a dispetto di ogni evidenza, parlare di giustizia ha un che di blasfemo.