No, non stiamo parlando del pianto del ministro Fornero per la manovra del governo denominata dai più 'lacrime e sangue'. Stiamo parlando delle lacrime di colui che non ti aspetti, di colui che è un simbolo per l'Inter sia per quello che ha dato con indosso la casacca nerazzurra, che per quello che sta vivendo in questa ultima stagione. Di sangue in campo lui ne ha sputato tanto per reggere gli attacchi avversari e mettere sempre una toppa dove gli altri lasciavano un buco perchè non erano in grado di recuperare. Un leader indiscusso del centrocampo dal 2004 con oltre 330 presenze e 40 gol realizzati. Uno che dell'Inter sa tutto e rappresenta tutto. Un' emblema, un simbolo, un totem, un' icona.Uno che quando c'è da metterci la faccia in momenti difficili è sempre uno dei primi a presentarsi davanti ai microfoni, un 'rompi palle' per quei giornalisti che fanno dell'anti interismo la propria ragione di vita, difficile da digerire quando racconta la verità ai loro microfoni. Uno che quando c'è stato da esultare per la conquista di un trofeo, ha avuto l'onore e l'onere di indossare la maglia con il numero 3 stampato sulle spalle. Numero che non rappresenta solo Giacinto Facchetti, ma tutto ciò che gli ruota intorno: classe, eleganza, modus vivendi e operandi. Si sta parlando semplicemente di Esteban Cambiasso, per tutti 'El Cuchu'.Domenica al Meazza si è assistito a una scena degna del dadaismo più esasperato, in cui si criticava e demonizzava tutto e tutti. Cambiasso per la prima volta viene richiamato in panchina da Mister Ranieri dopo settanta minuti di gioco. Dentro forze fresche come Obi e Poli, per scongiurare gli ultimi venti minuti che puzzavano di esonero quasi certo. Cuchu senza dire una parola si avvicina a bordo campo per abbandonare il terreno di gioco e il pubblico interista lo battezza quale capro espiatorio del momento 'no', riempiendolo di fischi come mai aveva fatto in tutta la sua carriera. Lui abbassa la testa, quasi a non volerci credere, saluta Ranieri, punta il posto in panchina e alza lo sguardo nuovamente verso i suoi tifosi per capire se stesse vivendo un sogno o si trovasse in una becera realtà. Purtroppo non è un sogno e i fischi sono tutti per lui, mentre il boato è per Poli, il nuovo che avanza. Un degno erede se l'integrità fisica lo sosterrà nella sua carriera. Cambiasso si accomoda sui seggiolini sistemati accanto alla panchina, quasi a dire 'ei io sono qua, non mi sto nasconendo, ci sono sia nei momenti positivi che in quelli negativi'. Ma le tensioni e le emozioni sono troppo forti e non riesce più a trattenersi. Con tutta la dignità che ha in corpo, decide di coprire il proprio volto con la felpa e scoppia in un pianto a dirotto come un innamorato che si sente tradito dalla sua amata.Un immagine questa che fa male, a chi la guarda e a chi la compie. Perchè se c'è stato qualcosa per cui il tifo nerazzurro si è sempre distinto, è stato quello di non ammaina mai le sue bandiere. Basti pensare a Materazzi, a Zenga, a Oriali, ancora osannati in ogni maledetta Domenica dai supporters interisti. C'è grande differenza tra noi e quelli che fischiano il proprio capitano il giorno dell'addio. C'è grande differenza tra noi e colore che, a stagione in corso, tengono una conferenza stampa di pura ripicca per comunicare a tutti che il proprio capitano a fine stagione smetterà di indossare la loro casacca.Noi dobbiamo continuare cosi, distinguendoci da tutti gli altri e mostrando il lato sano del calcio. Cambiasso non è ad un livello di forma fisica eccelso in questo momento, e lui in primis ne è consapevole. Ma fischiarlo come se fosse uno Zarate qualunque quello no, non deve esistere. E' una scena alla quale noi, non vogliamo più assistere.Con la riconoscenza in campo non si vince, vero, ma con quella sugli spalti si fa di certo una figura migliore di tutti gli altri.twitter @marcorizzo1986
editoriale
Lacrime e sangue
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