editoriale

Quello che conta

La svolta, quella della quale qualcuno aveva farneticato dopo la rimonta di Catania-Inter, non c’è stata. Molte le conferme, solo più brutali e schiette di altre volte. Sbattute in faccia come schiaffi. Crudeli come i gol presi. A fare da...

Sabine Bertagna

La svolta, quella della quale qualcuno aveva farneticato dopo la rimonta di Catania-Inter, non c'è stata. Molte le conferme, solo più brutali e schiette di altre volte. Sbattute in faccia come schiaffi. Crudeli come i gol presi. A fare da musica di sottofondo l'impotenza più disarmante di una squadra pallida. Senza riuscire o senza volere fare nulla per evitarlo. L'approccio alla gara è stato imbarazzante. Non sembrava nemmeno paura, ma panico allo stato puro. Come se ci fossimo dimenticati di come si gioca. Molta disattenzione rispetto ai compiti che sicuramente Stramaccioni avrà impartito nello spogliatoio. Molli, brutti, rassegnati. Dopo più di 24 ore questa sconfitta brucia ancora tantissimo. E il minore dei mali è proprio il risultato.

Dire che il nostro obiettivo principale è rappresentato dal terzo posto in campionato è già un progresso. Finalmente una frase chiara che non rischia di essere contraddetta dagli eventi. E in effetti, guardando la partita di ieri, la dichiarazione di intenti di Stramaccioni non fa una grinza. I tifosi non saranno tutti d'accordo, ma la rosa è questa e gli infortuni anche. Spiace perché l'Europa League è una fantastica manifestazione con squadre toste, che amano onorare l'impegno. Contro la mancanza di giocatori e di ruoli si poteva fare qualcosa prima, ora possiamo solo prenderne atto e morderci le labbra all'ennesima scontata imprecazione. Non cambia nulla. Purtroppo.

"Avevamo preparato la partita in maniera diversa" hanno detto i giocatori a fine partita. Certo, questo lo immaginiamo. O lo speriamo. Al di là di un'analisi che non avrebbe senso, visti gli errori diffusi in tutti i reparti, al di là delle scelte più o meno obbligate (Palacio e Guarin in parte risparmiati per l'obiettivo che conta), al di là dei cambi, di chi ha più o meno convinto, dei giovani e dei senatori, al di là di tutto questo, speriamo ardentemente di non dover più assistere ad un atteggiamento simile. Si può accettare di prendere gol come se non ci fosse un domani (ci si prova, almeno), che si marchi a vuoto, che non si contrasti e che ci si perda l'attaccante di turno. Tutto questo si può in qualche modo superare (con un allenamento zen o con degli alcolici, a voi la scelta). Quello che non si può davvero accettare è la resa incondizionata al primo minuto della partita. Le partite vanno onorate. Sempre. Si può perdere e uscire da una competizione. Ma l'imperativo è farlo con dignità. Come hanno fatto i ragazzi della Primavera contro l'Arsenal. Dannandosi fino alla fine su ogni singolo pallone. Anche su quelli impossibili. Da qualche tempo manca la cattiveria, manca l'orgoglio, manca la reazione. E manca anche lo Strama di una volta. Quello che si agitava per 90 minuti al limite del campo perdendo regolarmente la voce. Quello che non smetteva di ricordare ai suoi ragazzi chi erano e perché fossero in campo. Siamo l'Inter. Non dimenticatevelo mai.

Twitter @SBertagna