editoriale

Sentenza Calciopoli, l’ultimo terribile verdetto

Non c’é nulla di sorprendente o di nuovo nelle 560 pagine di motivazioni prodotte dal Tribunale di Napoli, a firma della Casoria, in merito alla sentenza di Calciopoli. Nessuna scoperta improvvisa, nessun elemento ad oggi ignoto. Ma una...

Sabine Bertagna

Non c'é nulla di sorprendente o di nuovo nelle 560 pagine di motivazioni prodotte dal Tribunale di Napoli, a firma della Casoria, in merito alla sentenza di Calciopoli. Nessuna scoperta improvvisa, nessun elemento ad oggi ignoto. Ma una piccola rivoluzione, di quelle che ti sorprendono per la semplicità e allo stesso tempo per l'ineluttabilità di quanto suggerito, é senza dubbio stata messa in atto. Solo il tempo potrà difenderne l'essenza, come una lastra di ghiaccio preserva le antiche forme di un sentiero. Scolpite nella memoria di chi non dimentica. Di chi non vuole dimenticare.

E' così che ricorderemo le motivazioni che hanno portato all'esito di condanne pesanti, sottese da intenzioni ancora più gravi. Ravvisati l'esistenza di una struttura organizzata per raggiungere il fine della frode sportiva, struttura avente quale capo l'ex dirigente bianconero Moggi, un pregnante uso delle schede straniere fornite ad arbitri e designatori, un rapporto diffusamente amichevole tra Moggi e gli arbitri, conversazioni telefoniche intollerabilmente confidenziali con i designatori, tentativi di indottrinamento degli arbitri, vanterie telefoniche, un ambiente dilaniato da recriminazioni e sospetti, che si qualificavano in reciproche spiate. Il potere logora non solo chi non ce l'ha. La fase di strenua progettazione dell'illecito è già senza ritorno. Il tentativo è già consumazione. Così ha sancito la Casoria.

E a poco serve attaccarsi a giri di parole che non trovano prudente azzardare la definizione di campionato alterato per quella tormentata stagione 2004-2005. Sarebbe stata sufficiente la metà di quanto queste pagine ci suggeriscono per alterare irrimediabilmente il normale corso delle partite. Chissà quanti altri campionati precedenti a questo possono sostenere senza imbarazzo il proprio sguardo (innocente?) davanti allo specchio della verità? Anche il capitolo intercettazioni viene liquidato con praticità, facendo riferimento a chi si era inizialmente opposto al loro uso e a chi in seguito aveva tentato di abusarne sperando di confondere i fatti, peraltro piuttosto chiari, man mano che la sentenza si avvicinava implacabile. E anche affermare che i sorteggi non fossero truccati ha davvero poca valenza perché la vera battaglia si giocava nella successiva fase di compilazione delle griglie. Come afferma Meani in una delle numerose intercettazioni citate, "Dio buono, che guerra!". Una guerra spietata e feroce, che obbligava i potenti a ribattezzare con ricatti e menzogne tutto ciò che riuscivano a toccare. E che costringeva gli esclusi a sporcarsi le mani per accaparrarsi a mani nude un pezzo, seppur miserabile, del bottino. Il mondo riacquista una luce infantile e rassicurante. Il bene e il male di nuovo così vicini, così diversi. I buoni e i cattivi. I colpevoli e gli innocenti.

Non c'é volonta di rendere migliore o peggiore la realtà analizzata, nessuno svolazzo stilistico volto ad estremizzare una colpa, piuttosto che a perdonare una debolezza. Rare e subito soffocate le espressioni pittoresche. Le istantanee sono asettiche, ma la portata di ciò che ci raccontano, ancora una volta, ci trascina in un degrado maleodorante. Le trame si fanno sempre più elaborate ed abiette, i rapporti trovano la loro massima espressione nel ricatto. Ai protagonisti di questa vicenda piaceva giocare con il potere. Fottere gli altri era il loro primo comandamento. Rispondevano a quello e a pochi altri primordiali istinti. Il calcio italiano ne esce come certi suoi politici: privo di credibilità. Piegato dall'avidità di pochi. Contraffatto in maniera stucchevole e scontata. Così scontata da essere sembrata per molto tempo l'unica scelta possibile.

Il calcio ricostruito dalle 560 pagine della Casoria non è solo scontato, ma anche involuto. Fiero nel mantenere le care e vecchie abitudini, meglio se resistenti al progresso. Si forgia di principi di galanteria antica, che in questo contesto stonano. Carraro sbotta con Bergamo esasperato e gli rinfaccia di essere una persona maleducata,  che dice le parolacce. La forma prima di tutto. E' un ambiente puritano, questo, che si vanta di essere maschilista e che inibisce l'ingresso della Fazi a Coverciano perché la presenza di una sola donna in mezzo a tutti maschi è piuttosto disdicevole. E per la stessa incredibile convinzione che una donna non possa capire di calcio la Fazi viene assolta. Alla Fazi non può essere riconosciuto un principio di quella padronanza di nozioni tecniche che diventa presupposto per la frode sportiva di questo tipo. A volte essere donne serve, avrà subito pensato qualcuno.

Tra coloro che hanno partecipato all'organizzazione, anche non troppo marginalmente, ci sono dunque arbitri e assistenti. Presi per la gola, perché una bella carriera a dirigere incontri di serie A, partite internazionali e - si sa mai - i Mondiali fa gola, eccome se fa gola. Redarguiti, minacciati e abbandonati alla gogna mediatica a seconda del crimine da nascondere o da valorizzare. E non possiamo non parlare del ruolo di alcune trasmissioni sportive, che per amore di Moggi erano disposte a taroccare la moviola e  ad alterare a piacimento i voti degli arbitri. Il sistema aveva bisogno di essere supportato in tutte le sue espressioni. Dal fischietto alla carta stampata. Tutto doveva avere le giuste sfumature.

Nell'aria, ora, nessun colpo pronto a rivoluzionare la scena, nessuna nuova intercettazione devastante che trasformerà le vittime in carnefici. Il sipario cala su un palco non immune da incongruenze. La non responsabilità della Juventus è discutibile, dato che due dei suoi massimi dirigenti hanno avuto una parte come attori protagonisti nell'organizzazione per delinquere e, riflessione per nulla secondaria, la società ha collezionato numerosi trofei in quello stesso periodo. Conclusioni azzardate dal buon senso, nulla di trascendentale. C'è aria di resa? I legali di Moggi ancora non si sono espressi, mentre il giornale di Torino ha sviscerato, come aveva già precedentemente fatto durante il processo, solo i segmenti delle frasi più gradite, fingendo di non vedere il contesto nel quale erano strette. Stralci di un mondo che non esiste più. Le prove che questo mondo esisteva le trovate nella fotografia di queste condanne. L'istantanea è brutale e non ammette repliche. E' finita. Come dopo un film che ci ha strappato l'innocenza, attendiamo immobili i titoli di coda. Scorrono in silenzio. Ma fanno molto rumore.

Luciano Moggi 5 anni e 4 mesi; Paolo Bergamo 3 anni e otto mesi; Innocenzo Mazzini 2 anni e 2 mesi; Pierluigi Pairetto 1 anno e 11 mesi; Massimo De Santis 1 anno e 11 mesi; Salvatore Racalbuto 1 anno e 8 mesi; Pasquale Foti 1 anno e 6 mesi e 30mila euro di multa; Paolo Bertini 1 anno e 5 mesi; Antonio Dattilo 1 anno e 5 mesi; Andrea Della Valle 1 anno e 3 mesi e 25 mila euro di multa; Diego Della Valle 1 anno e 3 mesi e 25 mila euro di multa; Claudio Lotito 1 anno e 3 mesi e 25 mila euro di multa; Leonardo Meani 1 anno e 20mila euro di multa; Claudio Puglisi 1 anno e 20 mila euro di multa; Stefano Titomanlio 1 anno e 20 euro di multa)

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