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Inter, 80 giorni di fuoco per Marotta? Ci si dimentica di Spalletti: la grande delusione…

L'editoriale di Sabine Bertagna

Sabine Bertagna

C'è una frase pronunciata da Matias Vecino a metà del primo tempo nella partita contro la Fiorentina, che rende perfettamente l'idea di una delle caratteristiche dell'Inter: "Gestire la partita? No, non dobbiamo gestire niente, dobbiamo continuare a giocare". Da sempre in questa Inter, che Luciano Spalletti ha iniziato ad allenare un anno e mezzo fa, si annida un germe di follia. L'incredibile capacità di rovinare tutto, anche quando nessun sentore di disastro si è (ancora) palesato. Di rovinare una più o meno lunga striscia di risultati positivi, di guastare il clima natalizio con la consueta frenata invernale, di finire sulle prime pagine di tutti i giornali sportivi per il caso di un giocatore separato in casa (prima Perisic, poi Icardi). Da qualche parte la definiscono anche l'insana dote di non farsi mancare nulla. Ma proprio nulla.

E se da quando è arrivato Beppe Marotta all'Inter tutto è diventato un metro di misura per testare e giudicare la sua bravura di dirigente, ma soprattutto la capacità di calare quella bravura nell'Inter e ottenerne il meglio, ci si dimentica che a gestire il gruppo che ha un debole per il germe di follia di cui parlavamo sopra è ancora Luciano Spalletti. È su di lui, come sugli allenatori in genere, che convergono le critiche se il gioco latita, se le sostituzioni non appaiono efficaci, se l'uno o l'altro giocatore diventano un caso e scalpitano verso direzioni lontane dagli obiettivi del club. Dire che Marotta è stato efficace nel gestire prima il caso Nainggolan, poi quello di Perisic e infine nel mostrare il pugno duro contro Icardi sottintende che lo sia stato anche Spalletti. Qualsiasi allenatore al suo posto, qui all'Inter, avrebbe perso da tempo il controllo della situazione. È successo in passato e per molto meno.

Il bene dell'Inter. Quante volte si è abusato di queste quattro parole, che stanno a cuore a molti. Difficile identificarle in una strategia concreta, difficile saggiarne l'autenticità nei singoli personaggi che operano per l'Inter. Tutti lo vogliono a parole, poi però subentrano le sfumature più diverse. A volte fin troppo personali. Pensare di accettare un'offerta da un'altra squadra alla fine della finestra di calciomercato (entrando svogliati in campo) non equivale a fare il bene dell'Inter. Rifiutarsi di giocare, dopo che si è stati privati della fascia di capitano (che pur essendo un conferimento nobile non corrisponde alla privazione di un arto) non equivale a fare il bene dell'Inter. Neanche andare in tv a mettere a nudo gli equilibri già fragili di uno spogliatoio (ricordatevi il germe di follia), proponendo soluzioni dettagliate equivale a fare il bene dell'Inter. Gestire tutto questo circo, lavorare ogni giorno con serietà e professionalità, non "perdere la brocca" a livello mediatico e comunicativo, questo è tentare di fare il bene dell'Inter. Di Luciano Spalletti si parla già come di un ex, ma è lui che sta tenendo le redini del gruppo in questo momento. È lui che prepara i giocatori, che parla con i giocatori, che ha un reparto di crisi perenne nello spogliatoio da mesi a questa parte. Lo sta facendo bene? Lo stabiliranno i risultati a fine stagione. Non dargliene atto però equivale a commettere un'ingiustizia.

E a proposito di Mauro Icardi, al quale Luciano Spalletti non avrebbe risparmiato qualche dura frecciata, non vanno dimenticate un paio di cose. Il tecnico lo ha sempre difeso. Quando Mauro Icardi era "solo" un attaccante che segnava, ma che non giocava per la squadra, per esempio. E mentre Spalletti lo tutelava esaltandone la grande capacità di predatore sotto porta, lavorava con lui per migliorarne l'aspetto del gioco corale e della manovra. Quando Mauro Icardi non segnava, Spalletti minimizzava. Ha difeso lui, come ha difeso strenuamente Ivan Perisic. Non è un tecnico che manda i suoi uomini migliori in pasto alle critiche feroci. Preferisce fare da scudo. Nel linguaggio del calcio si chiama lealtà. Proprio quella lealtà che probabilmente è venuta a mancare ultimamente in Mauro nei confronti del tecnico nerazzurro. Non ne ha voluto più parlare, oggi Luciano. "Parlo di chi ha a cuore l'Inter", ha detto lapidario. E più che una bocciatura del giocatore e del suo discutibile comportamento, affiora una tremenda delusione sul piano umano. Forse ancor più grave di tutto il resto.

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