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Kovacic fa ciò che non può permettersi, Mancio fa mea culpa. Gnoukouri onorato da…

L’hanno presentato come il derby dei poveri: sminuito, denigrato, offeso. L’hanno chiamato “derbyno”, come a sottolineare l’inutilità della partita. Hanno provato a stracciare i sentimenti di chi ama incondizionatamente, ma hanno perso....

Alessandro De Felice

L’hanno presentato come il derby dei poveri: sminuito, denigrato, offeso. L’hanno chiamato “derbyno”, come a sottolineare l’inutilità della partita. Hanno provato a stracciare i sentimenti di chi ama incondizionatamente, ma hanno perso. Hanno perso miseramente. Orgoglio d’uomo ferito accantonato da oltre 74.000 innamorati che non potevano resistere al richiamo e - per una notte - hanno voluto riassaporare la magia di tornare a vivere tutti insieme sotto lo stesso tetto coniugale: lo stesso che ci ha tenuti uniti nel 2010, quando le cose andavano bene. Roberto Mancini mostra di non temere il diavolo e gli contrappone nel cuore della mediana l’animo più candido, un ragazzo che la Serie A l’aveva vista si e no 10 minuti: Assane Gnoukouri, diciottenne della Costa d’Avorio, che senza paura guarda tutti negli occhi. Uno sguardo che sembra farti la radiografia e due piedi che non hanno paura di calpestare il fuoco. Col 27 dietro le spalle, Gnoukouri svolge una gara attenta, ordinata e impreziosita da qualche giocata a centrocampo, sempre sottolineata dagli applausi del pubblico. Un pubblico decisamente colpito dalla gara di questo piccolo talento, tanto che alla sua uscita dal campo (per crampi) si alza in piedi per omaggiarlo. Un onore per pochi, in quello che viene definito come la Scala del calcio. L’Inter fa la partita dal primo all’ultimo minuto: frena, accelera e sbanda, ma mantiene costantemente il controllo del match. Ranocchia e Vidic comandano bene la retroguardia ed Hernanes dietro le punte riesce ad accendere i propri compagni, prontamente disinnescati dall’arbitro Banti. Roberto Mancini in conferenza stampa recita il primo mea culpa della stagione, ammettendo di essersi pentito di alcune scelte del passato:”Un allenatore ha bisogno di tempo. Un altro anno un allenatore lo sa prima e avrà la possibilità di fare meno errori. Sono contento che ora stiano facendo bene. Sono contento delle ultime due partite”. Un derby valso anche da chance per Mateo Kovacic che, contro i rossoneri è nuovamente partito titolare e nel ruolo che maggiormente gradisce, quello di mezzala. Il numero dieci nerazzurro sembra aver perso la voglia di lottare: poco incisivo, spesso svogliato e disattento. Nel primo tempo lascia solo Juan in diverse occasioni, arrivando troppo tardi in suo soccorso. Non aggredisce, sembra volersi divertire solo quando in possesso della palla, demandando ai compagni i gravosi compiti del gioco difensivo. Questo una mezzala non può permetterselo. Mai.